lunedì 8 marzo 2010

Editoriale


La paura che ci fa la pagina bianca,

che ci appare sempre più stanca e proseguire nelle dita,

mentre il conto in banca, intanto, si assottiglia,

senza margine di errore, di finzione letteraria.

Non è un eteronimo

quello che non sbarca il mese,

che non ce la fa più con le spese di casa.

Ogni mattina la fantasia si consulta con il ragioniere

in cerca d’una soluzione:

per una settimana, invece dell’elettricità

useremo candele, per le vacanze il balcone;

e se qualcuno fa domande

ci affideremo a una presunta elezione

“gli artisti sono eccentrici, è una questione di casta.”

La paura che ci fanno tutte le frasi ancora da scrivere,

che paiono deriderci da chissà dove

e proseguire nella vita.

Le immaginiamo impigliate tra i denti dei colleghi

come scarti di un Dostoevskij minore,

di un Salgari che ha saldato tutti conti col droghiere

e se mai dovesse uccidersi sceglierebbe Miami.

“L’ultima volta non ci hai fatto ridere.” scrivono i lettori,

“I personaggi erano piatti, il finale affrettato,”

osservano i critici,

“Come te, ne troviamo altri cento, più rapidi

e che costano meno.” ci incoraggiano

i datori di lavoro.

“Non lo sapevi, quando hai cominciato?

L’ispirazione è un lusso che non ti puoi permettere”.

“Se non ti va, puoi sempre cambiare mestiere.”

E a quarant’anni,

chiacchierando con il solito idraulico per il solito

problema di tubi che costano come sei mesi

di storie per la televisione, uno si guarda indietro,

si ritrova a fissare quella coda di pagine,

curiosamente fitte di righe,

chiedendosi perché sia impossibile correggerle

e così difficile scriverne una nuova.